Il lavoro del frantoiano lo devi sentire dentro

di La redazione di Boniviri

Data di pubblicazione: 21 settembre 2021

Una domenica al Frantoio Ruta, dove Giorgio Ruta, maestro frantoiano di Castelluccio, in provincia di Siracusa, custodisce e tramanda l'antica arte dell'olio con un progetto coraggioso e visionario.

“Ciccio, domani pioverà?” L'aria è tesa al Frantoio Ruta, una mecca per i cercatori d'oro verde distesa sulle colline di Castelluccio. “Pare di sì, ma solo domani, papà,” risponde Ciccio con uno sguardo corrugato. Una giornata di pioggia non basta, serve molta acqua per portare le olive alla giusta maturazione, spiega Giorgio Ruta, che guida il frantoio di famiglia da quarantuno anni. “L'olivo è un'eccezione della natura. È un albero egoista, si rifiuta di soffrire. Se piove poco, abbandona i suoi figli a terra e l'anno è perso.” Così le macchine brillano, gli operai sono pronti a celebrare la messa dell'olio, ma ancora nessuno si vede nel frantoio.

Un'immensa cinta di olivi secolari avvolge il frantoio, dove sono nate e cresciute tre generazioni Ruta. Appese alle pareti bianche dell'edificio si vedono fotografie di famiglia, bottiglie di tutte le forme e colori si abbracciano strette per non cadere dagli scaffali. Attraverso le finestre dell'ufficio amministrativo dove lavora Graziana, la figlia maggiore di Giorgio, si intravede la pesante corona di medaglie che il frantoio ha vinto negli anni. “Mio padre lo costruì nel 1953, ho passato l'infanzia tra macchine, olive e olio. All'epoca la produzione era molto diversa, il lavoro in frantoio era molto faticoso. Ho subito sentito che questa sarebbe stata la mia vita. Quando mi sono laureato mio padre mi ha dato le chiavi: 'ora te ne occupi tu, l'azienda è tua'.”

Mentre parla, Giorgio annusa il vento e si strofina nervosamente le grandi mani scure. Mi colpisce il suo sguardo dritto, le sue idee chiare. “Ho subito scelto la strada della qualità. Ho imposto regole molto rigide ai coltivatori: tempi, metodo di raccolta, trasporto, tutto. Non accettavo più compromessi: chi non le rispettava non entrava in frantoio. Il primo anno ho perso oltre il 50% dei clienti, è stato molto duro. Ma alla lunga queste scelte hanno pagato, dopo un periodo iniziale molto difficile abbiamo iniziato a crescere anno dopo anno. Oggi abbiamo seicento trenta clienti, le aziende più grandi della zona vengono da me a frangere e a chiedermi consigli. E insieme vinciamo premi e menzioni.” Una scelta che ha dato i suoi frutti, soprattutto ora che la concorrenza dei mercati esteri è diventata agguerrita.

Ciccio si alza, parla con gli operai, controlla le macchine e l'orario. È presente. Magro, con uno sguardo veloce e mani esperte, anche se giovane, Ciccio è l'espressione di quella nuova generazione desiderosa di imparare e con la folle voglia di innovare. Dai suoi movimenti, capisco che la famiglia Ruta ha l'olio nel sangue. “Ciccio vive per l'olio, passa tutta la giornata qui dentro. Senza passione non si può fare questo lavoro. Devi sentire il lavoro del frantoiano dentro.” Dentro, Giorgio ha anche il suono delle macchine: “Volevo la camera da letto davanti al frantoio così posso sentirle e capire se tutto funziona bene.”

Mi chiedo come ci sia ancora spazio per l'innovazione in un'arte così antica. “Vedi quelle due macchine? Sono i frangitori, ne ho presi due per non surriscaldare la pasta di olive. Ho convinto il produttore a modificare la linea di produzione, oggi vende anche questa soluzione ad altri frantoi.” Tecnologia ed esperienza, esperienza e tecnologia, continua a ripetere mentre guarda con affetto Ciccio che, nonostante nove anni in frantoio, non può ancora gestire da solo il separatore, snodo cruciale del processo di trasformazione. “O ci sono io o il mio socio, bastano pochi momenti in più o in meno e l'olio non è perfetto. Ciccio sta imparando in fretta, presto sarà solo anche lui.”

Ci interrompe un anziano, cerca Giorgio. “Abita poco più avanti, ogni tanto mi porta un pollo, io lo ricambio con l'olio, siamo una comunità molto coesa, per chi vive qui il frantoio è un punto di riferimento.” Qui, mi spiega, diventa comunità, ma anche cultura: “in passato organizzavamo iniziative per parlare dell'olio. Non è stato il Covid a interromperle, ma la maleducazione di alcune persone che lasciavano una lunga scia di degrado e immondizia quando venivano al frantoio.” Un problema che, purtroppo, va oltre il frantoio e che, come tutti quelli che incontra, Giorgio affronta e risolve: “a Modica, con la nuova amministrazione a cui appartengo, abbiamo rivoluzionato la raccolta dei rifiuti rompendo la vecchia abitudine degli appalti. Abbiamo affidato il compito alle aziende agricole locali, dando a ciascuna un pezzo della città. Risparmiano le tasse comunali, noi risparmiamo i soldi degli appalti. E così vinciamo tutti: il comune, i cittadini, il paese.”

Il tempo passa veloce, le nuvole no. Ci sono, loro, secche dal cielo. Giorgio, qual è la tua più grande soddisfazione? Con uno sguardo intenso, indica il piccolo rubinetto piatto da cui scorre il nuovo olio. “Se l'olio che esce da lì ha la giusta sfumatura di verde significa che abbiamo lavorato bene e sono felice.”

Dobbiamo ripartire, scattiamo l'ultima foto: Giorgio e Ciccio sotto l'insegna Ruta 1953. Ieri, oggi e domani di una bella storia che noi di Boniviri abbiamo la fortuna di scrivere insieme.

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